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venerdì 2 marzo 2012

Il perdono: opera divina

Commento a Mt 5,17-26.38-48
Il Signore usa parole semplici per farci acquisire verità immense. Basta essere un po’ attenti e si scorgerà che espressioni in apparenza dimesse posseggono incalcolabile vigore espressivo, ricchezza di contenuto, larghezza di applicazioni, profondità teologica ed umana, una Verità che realmente si manifesta in tutta la sua essenza: divina.
PAOLO VI, Ins IV, 1003, 27 febbraio 1966





I sistemi della filantropia umana sono di quaggiù, nascono dall’uomo, dal suo cuore angusto, dal suo spirito limitato, e dal suo orgoglio più ristretto ancora: quindi sentono d’egoismo, e finiscono nell’egoismo. Ma la carità evangelica procede dal seno largo ed universale di Dio; e però si effonde con illimitata espansione di amore su tutti gli uomini. Colla carità Gesù Cristo diede alla legge quell’ultima mano di perfezione, che doveva far conoscere a tutti il Vangelo come opera divina. 
Quella parola di Cristo: perdonate e vi sarà perdonato!… (Lc 6, 37). È un tesoro di sapienza e di misericordia, che rende facili i più ardui sacrifici del perdono. «Fratelli, dice S. Agostino, esercitatevi quanto potete nell’usare mansuetudine e carità verso i nemici poiché a questa virtù Dio ha promesso in ricambio la sua misericordia; e la darà colla stessa misura, che noi avremo adoperato verso i nostri fratelli. Vogliamo che Dio ci compatisca? Compatiamo. Vogliamo che Dio ci sopporti? Sopportiamo. Vogliamo che Dio perdoni? perdoniamo».
Asteniamoci anche dal giudicare il prossimo, poiché Gesù Cristo lo vieta dicendo: «non giudicate, e non sarete giudicati, non condannate e non sarete condannati. A Dio solo spetta lo scrutare il cuore e le azioni degli uomini; e perciò è temerario chi osa arrogarsi un tale diritto». Guardati, dice S. Bernardo, di essere curioso investigatore o temerario giudice delle azioni del prossimo; e ancorché tu vedessi qualche cosa mal fatta, non essere facile a condannare il fratello, ma piuttosto a scusarlo: scusa l’intenzione, se non puoi l’azione, attribuendola volentieri ad ignoranza, ad inavvertenza od a caso. E se la colpa è certa, e non puoi dissimularla, pensa almeno a compatirla dicendo: Al certo che la tentazione fu molto gagliarda; e che sarebbe stato di me, se mi fosse sopraggiunta? Sempre sarà meglio che per dolce inganno di carità tu giudichi taluno migliore di quel che è, che per ispirito di superbia stimassi colpevole chi forse è più giusto di te.
Qualora però il dovere o la necessità ci costringa a giudicare o riprendere il prossimo, S. Agostino ci ammonisce di farlo con gran cautela considerando sempre se non si trovi anche in noi quel tal vizio, che negli altri ci spiace; e se non lo abbiamo, ricordiamoci d’essere uomini e che possiamo averlo essendo comune l’infermità: così la vista di quel fatto produca in noi non disprezzo, ma misericordia. Che se troviamo in noi stessi quei vizi che condanniamo nel prossimo, sospiriamo insieme, ed insieme sforziamoci di emendarci anziché riprenderli duramente. Questo intese insegnarci Gesù Cristo colla similitudine di colui, che voleva levar la pagliuzza dall’occhio del suo fratello, e non badava alla trave che aveva nel proprio.
Elisabetta Girelli, VdGC, 157-163

(tratto da GESU' CRISTO SALVATORE E MAESTRO MEDITAZIONI con riflessioni introduttive di Paolo VI a cura di Mario Trebeschi, 1998, pagg. 68-70).

consigliamo di chieder perdono una volta la settimana in segno di sottomissione e per conservare la carità
Angela Merici, Regola, Capo VIII Dell'Obbedienza



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